Problemi per Unicredit, in questi ultimi anni, con quei 180 milioni che derivano da un contenzioso fiscale nell’ambito di una serie di operazioni di finanza strutturata e risalenti ormai a quasi 10 anni addietro. In realtà sono gli ultimi colpi di coda della questione Brontos che hanno visto l’istituto di credito aprire anche un contenzioso territoriale tra Bologna e Milano.
In quel caso ci fu un vero e proprio scaricabarile fra le due questure dal momento che , a differenza di quanto di solito avviene su casi che attirano molto l’opinione pubblica, i magistrati di Milano prima e di Bologna poi, aveva affermato la rispettiva incompetenza territoriale per il caso Brontos. Alla fine si decise per la Cassazione come giudice supremo anche perchè Bologna aveva chiesto il rinvio a giudizio per Alessandro Profumo che all’epoca dei fatti era il numero uno di Unicredit accusato insieme a una ventina di altri esponenti di una frode fiscale da oltre 245 milioni di euro derivati proprio dall’operazione Brontos.
E proprio Bologna alla fine l’ha avuta vinta con una decisione da parte della Cassazione che puntava il dito contro l’impunità fiscale delle banche. In occasione del successivo dissequestro dei suddetti 245 milioni di euro dell’inchiesta Unicredit-Brontos, la Suprema Corte aveva parlato di un sistema di recupero dei capitali derivanti dal reato definendolo inefficace nei fatti. Quei soldi, infatti, erano stati fatti passare per dividendi quando invece dovevano rientrare nei capitali sottoposti a normale tassazione.
E purtroppo se la legge obbligava il dissequestro, cosa che è puntualmente avvenuta, la Corte, invece ha potuto sottolineare come le attuali leggi in questo senso diano un vantaggio alle “persone fisiche” le quali si trovano a poter godere di una sorta di impunità. Il tutto ancora più grave se si nota come in realtà è, il fatto che a carico di Profumo, ci siano stati pesanti indizi. Ma c’è dell’altro. Il groviglio di norme e soprattutto, ancora peggio, di possibili interpretazioni, ha dato il via a una serie di disparità di trattamento che vede il delta discriminante nella natura nazionale o meno della frode e il conseguente comportamento verso sia l’imputato considerato come persona fisica, sia verso il possibile sequestro di beni e capitali derivanti dall’illecito commesso.
Nello specifico un soggetto che abbia dato vita a una frode il cui carattere internazionale (o per essere più fedeli al testo della Cassazione, transnazionale) sia stato accertato, subirà un trattamento diverso (peggiore, per la precisione) rispetto a chi è riuscito a creare una analoga o anche maggiore fronde a livello nazionale. Il made in Italy che, abituato ad essere famoso nel resto del mondo come sinonimo di stile e qualità, stavolta si trova costretto a distinguersi, almeno per questa volta, per questioni di tutt’altro tipo, e adesso non certo nel bene nè del cittadino e tanto meno dell’Erario.